IDENTITÀ DIGITALE
Lo sviluppo di servizi online ha posto il problema di identificare chi ci fosse “davanti allo schermo del computer” ma anche di ordinare e registrare i comportamenti delle persone per utilità della persona stessa; se entro in un sito per la centesima volta vorrei avere un accesso più semplice rispetto al primo accesso, con eventuali schermate di aiuto.
L’evoluzione dei servizi disponibili online e delle possibilità di interrelazione tra la persona fisica e il ruolo online della stessa, apre infinite discussioni che ineriscono da un lato la privacy, ma anche il valore economico delle singole preferenze, e dall’altro le eventuali responsabilità che comportamenti offensivi possono portarsi dietro incluse le conseguenze delle mille relazioni che possono nascere online.
Il metaverso accelera tutto questo. Se nel web iniziale, web 1.0, l’identità di ciascuno risaliva a qualcosa che assomigliava alla propria casella di posta elettronica (identità interoperabili) e se nel web 2.0 la nostra identità viene scambiata per il nostro profilo sociale (vale tutto da Linkedin a Instagram, identità centralizzate user-centric) sul web 3.0 ci presentiamo addirittura con il nostro avatar che rispecchia noi stessi.
Bisogna riflettere sia sulla parola “avatar” che “nostro” perché, nella misura in cui ci affidiamo a soggetti quasi monopolisti, l’avatar rappresenta noi, ma risulta monopolista dire "è nostro", in quanto sviluppato con tecnologie di terzi, con uno stile e con una usabilità riconducibile per esempio a Meta (non a caso il nuovo nome di Facebook) potendolo usare prevalentemente sul sistema che fa riferimento alla stessa società.